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Der Doppelgänger: silent enim leges inter arma

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da Renato Pizzi


Per gli appassionati di sci-fi è il titolo di un episodio di Deep Space Nine, per gli altri un celebre motto tratto dal “Pro Milone” di Cicerone: "tacciono infatti le leggi in tempo di guerra".

Proseguiamo il discorso iniziato con il precedente articolo (https://vivere.me/bW1n): stabilito che i tempi di Cicerone sono passati e anche le guerre hanno dei limiti, cerchiamo di capire cosa succede a chi questi limiti li supera.

È opportuna una premessa: la prima responsabilità di punire i responsabili di crimini di guerra resta in capo alla magistratura dei paesi di appartenenza. Per questo ad esempio, l’Italia – come ogni altro paese – ha un Codice Penale Militare di Guerra (e uno di pace) dal quale, qualcuno potrebbe scoprire con stupore solo nel 1994 è stata abolita ufficialmente la pena di morte, sostituita generalmente con l’ergastolo. Un esempio: il Codice Penale Militare di Guerra punisce con una detenzione non inferiore a quindici anni il militare italiano che si renda responsabile di incendio, distruzione o gravi danneggiamenti in un paese straniero senza che sussista necessità militare. Se il fatto provoca il decesso di una o più persone, fino al 1994 era prevista addirittura la pena di morte, oggi l’ergastolo (art. 187).

Accade tuttavia che uno stato non possa o non voglia giudicare propri agenti che si siano macchiati di crimini di guerra. Vige in questo caso la norma “aut iudicare aut dedere”, che apre le porte alla repressione dei crimini attraverso strumenti di diritto internazionale. Posto che parliamo di responsabilità personale, da un punto di vista storico il primo tentativo - che tale rimase - di punire individui responsabili di crimini di guerra (violazione di trattati e leggi relative alla condotta delle ostilità) risale al termine della I guerra mondiale, quando lo stesso Kaiser tedesco Guglielmo II si sottrasse al giudizio riparando in Olanda, che non concesse l’estradizione.

Maggior successo ebbe il cosiddetto “processo di Norimberga”, apertosi il 20 novembre 1945 a carico delle maggiori personalità del III Reich catturate dagli Alleati al termine del secondo conflitto mondiale. L’istituzione del Tribunale Militare Internazionale, decisa negli incontri di Mosca e Teheran già nel 1943 era stata formalizzata tra Usa, Urss, GB e Francia con l’Accordo di Londra nell’agosto precedente e prevedeva quattro capi d’accusa: cospirazione (questa imputazione permise di comprendere atti commessi prima del 1939), crimini contro la pace, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Per approfondire le vicende del Processo di Norimberga, consiglio di leggere “The Anatomy of the Nuremberg Trials: A Personal Memory” di Telford Taylor, Procuratore Capo statunitense al processo.(https://books.google.it/books?hl=it&lr=&id=hEH7KcpN-OcC)

Norimberga ebbe l’indiscusso merito di introdurre nel diritto internazionale i reati di crimini contro l’umanità e di eliminare l’esimente degli ordini superiori o per aver agito in rispetto alla legge vigente, ancorché criminale. Paga tuttavia il limite di non aver avuto un giudice terzo, di aver chiuso gli occhi rispetto al “tu quoque” (il patto Ribbentropp-Molotov su un fronte, il massacro di Kathin, l’uso dell’arma atomica dall’altro, per citare fatti eclatanti) e di aver infranto la regola dell’irretroattività della norma.

Norimberga resta comunque un passaggio fondamentale per aver posto le basi di importanti traguardi successivi, non ultima la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948.

Nulla di particolarmente rilevante accadde nei decenni successivi, fino a che negli anni Novanta del secolo scorso due eventi scossero particolarmente opinione pubblica internazionale e cancellerie di mezzo mondo: la guerra in ex Jugoslavia e il genocidio della popolazione di etnia Tutsi in Ruanda. Non è possibile, nemmeno per cenni, riassumere le terribili vicende che hanno caratterizzato questi due avvenimenti, ma entrambi i casi mostrarono al mondo episodi di crudeltà ed efferatezza tali che, cessate le ostilità, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu stabilì la costituzione di due Tribunali “ad hoc” con il compito di investigare, processare e condannare i responsabili delle atrocità commesse. Chi volesse saperne di più può fare riferimento ai siti dei rispettivi tribunali: https://unictr.irmct.org per il Ruanda e https://www.icty.org per la ex Jugoslavia.

I due tribunali hanno ufficialmente esaurito la loro missione e sono in attività solamente i meccanismi residuali col mandato di definire le posizioni ancora aperte. I risultati sono stati forse più concreti per quanto riguarda il tribunale balcanico, mentre in Ruanda ha prevalso la scelta di non esacerbare le divisioni ma piuttosto favorire la riappacificazione tra diverse etnie. Il Tribunale per la ex Jugoslavia ha condotto un numero elevato di procedimenti contro numerosi protagonisti del conflitto, il più celebre dei quali fu sicuramente Slobodan Milosevic, ex capo dello stato serbo e della repubblica federale di Jugoslavia, deceduto in carcere durante il processo stesso. Sono state comminate massime condanne, come nel caso di Ratko Mladic, noto come il boia di Srebrenica, condannato al carcere a vita in primo grado per - tra gli altri - crimini contro l’umanità e genocidio. Attualmente è in corso il processo di appello.

Rispetto a Norimberga si è trattato certamente di un enorme passo avanti, specialmente per la garanzia di terzietà del giudice. Il Tribunale per la ex Jugoslavia ha peraltro innovato in modo importante la giurisprudenza del diritto applicabile nei conflitti armati, con riguardo anche alle Convenzioni del 1949 e ai Protocolli aggiuntivi del 1977.

Restava tuttavia per i Tribunali il “vulnus” di essere enti giurisdizionali di nomina “politica”, istituiti dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu che decideva, in modo del tutto arbitrario, quali fossero le situazioni meritevoli di intervento e quali no: pensiamo alla Cecenia o per altri versi al Tibet, solo per citare un paio di esempi.

Per queste ragioni un vasto movimento di opinione ha portato, nel 1998, a una conferenza diplomatica ospitata dall’Italia, che ha determinato la nascita, con lo “Statuto di Roma”, di una Corte Penale Internazionale permanente. La Corte è dotata di autonomia decisionale nell’ aprire indagini, istruttorie e procedimenti penali per crimini contro l’umanità, crimini di guerra e genocidio. Lo Statuto ha raccolto finora 123 ratifiche ed è operativo dal 2002.

Se non vi siete annoiati fin qui, ne parliamo al prossimo appuntamento. Per chi avesse contributi, curiosità o domande, ricordo il mio indirizzo e-mail: renatopizzi@hotmail.com; naturalmente sono aperti gli spazi ai commenti.



Questo è un articolo pubblicato il 30-04-2021 alle 09:04 sul giornale del 03 maggio 2021 - 1045 letture